lunedì 28 gennaio 2013

Raccolta dell’acqua piovana: le 6 migliori innovazioni

L’acqua è un bene prezioso anche se per anni è stata considerata di scarso valore, forse perché si credeva provenisse da una fonte inesauribile.  Per decenni se n’è fatto un uso sconsideratosenza pensare al risparmio e al corretto impiego di questa risorsa.  Soltanto nelle zone aride del mondo la scarsità d’acqua ha spinto l’uomo ad ottimizzarne le risorse e la loro gestione. Negli ultimi anni sembra che questa mentalità stia lentamente cambiando e sempre più aziende e persone pongono estrema attenzione al consumo idrico.

Oltre ad un uso più responsabile, un ottimo sistema per favorire il risparmio idrico è quello di raccogliere ed utilizzare l’acqua piovana.  La sua raccolta avviene mediante un sistema di raccolta costituito da un serbatoio filtrante o da una camera di percolazione, costruita appositamente per questo scopo.
L'acqua piovana raccolta può essere utilizzata per l’irrigazione, o per il reintegro delle acque sotterranee in climi aridi e semi-aridi caratterizzati da scarse precipitazioni.
Ma anche nei centri urbani questo può essere un buon sistema per aiutare l’ambiente e magari anche per risparmiare qualche euro in bolletta. E' per questo che architetti e designer si stanno sbizzarendo nell'ideazione di sistemi di recupero efficienti e anche belli da vedere.
Vediamo allora sei fantastici impianti per la raccolta dell’acqua piovana.

1) Accumuwater Water Tower




accumuwater

Le torri d'acqua Accumuwater sono state progettate per fornire una riserva d’acqua dolce in quelle zone dove non ce n’è. Il progetto, ideato da Mojorno, è completamente ispirato alla natura.
I serbatoi a forma di torre sono in grado di immagazzinare acqua nelle loro “pance” cave. Di notte la struttura s’illumina poiché è verniciata con sostanze fluorescenti.
Il plus principale dell’Accumuwater Water Tower è che i serbatoi a forma di torre possono essere facilmente collocati dove è necessaria l’acqua. Ad esempio in un campo dove fornire acqua a piante e alberi. La riserva idrica accumulata nelle torri può essere trasportata anche a distanza mediante un sistema di tubi collegati alla base della torre.


2) RainDrops

raindrops

Il progetto RainDrops è un’idea a basso costo per la raccolta dell’acqua piovana. Non utilizza, infatti, costosi serbatoi ma semplici bottiglie di plastica.
L’acqua immagazzinata nelle bottiglie di plastica può essere utilizzata per le pulizie domesticheo per il giardinaggio. Inoltre questo sistema concorre al riciclaggio delle bottiglie di plastica.


3) Eol'eau

stanning

Questo innovativo sistema di raccolta dell'acqua piovana, progettato da Julien Bergignat, è caratterizzato da una doppia funzionalità: mentre immagazzina scorte idriche è in grado diprodurre energia elettrica grazie al vento. In questo modo non solo avrete dell’acqua per il giardino ma anche dell’energia per illuminare la vostra casa.
A questo scopo Eol’eau è stato progettato in due moduli: la base che raccoglie fino a 600 litri d’acqua piovana e la turbina eolica, posta sopra, che produce energia elettrica grazie al vento.

4) Fatboy



fatboy

Il serbatoio Fatboy ideato da Waterwall permette di conservare a lungo l'acqua (capacità 650 litri) prevenendo la formazione di alghe all'interno e all'esterno del serbatoio.
Fatboy risolve finalmente uno dei principali problemi relativi alla raccolta e alla conservazione dell’acqua piovana: le alghe.
La formazione di queste ultime rende l’acqua inadatta per usi umani e obbliga a svuotarlo.
Il polietilene ad alta densità con cui è realizzato il serbatoio protegge l’acqua dai raggi UV che favoriscono la formazione di alghe.


5) Watree

watree

L’impianto Watree, progettato dal designer australiano Chris Buerckner, offre una soluzione originale ed efficiente per la raccolta dell’acqua. La struttura a forma di fungo, possiede un gran cappello che agevola la raccolta dell’acqua.
Il Watree può essere collocato facilmente in un parco o in altri luoghi pubblici e grazie al suo ampio cappello offre una doppia funzionalità: oltre a raccogliere l’acqua piovana, può proteggerci dalle piogge. Le riserve idriche accumulate possono essere trasferite in altri serbatoi grazie a una rete di tubazioni sotterranee.

6) Cista 

cista

Il progetto Cista porta la firma degli architetti della Moss Sund e di Fig Forty, che hanno caratterizzato quest’impianto con un design avveniristico e funzionale che ben si adatta a quello delle moderne abitazioni.
Con Cista sarà possibile, occupando poco spazio, raccogliere 380 litri circa di acqua. L’acciaio inossidabile con cui è realizzato lo rende molto resistente e grazie al suo design unico e moderno sarà perfetto per la vostra casa.
Ricordate: l’acqua è un bene prezioso per il pianeta e anche una goccia può fare la differenza.

Grazie a Lorenzo di Ritis
http://www.greenme.it/consumare/acqua/5368-raccolta-dellacqua-piovana-le-6-migliori-innovazioni

giovedì 24 gennaio 2013

Innovazioni acqua: Cile Camanchaca


Il clima del litorale nord del Cile va da semi-arido a iper-arido. Il deserto di Atacama nel nord del Cile è uno dei posti più secchi della Terra. L'aridità della regione è dovuta alla sua condizione geografica: le alte montagne delle Ande bloccano a est le masse d'aria umida impedendo loro di raggiungere la costa del Pacifico, e la corrente fredda peruviana e l'Oceano Pacifico rafforzamento di una massa d'aria stabile persistente. Questa aria stabile limita la formazione delle nuvole.
Queste nuvole, definite stratocumuli, formano e una coltre di nebbia, conosciuta localmente come il nome di camanchaca. Tuttavia, il camanchaca e le nuvole stratocumuli non portano abbastanza umidità per produrre precipitazioni.
Il camanchaca arriva sulla cresta di una montagna bassa costiera
Il piccolo villaggio di pescatori di Caleta Chungungo si trova a circa 450 chilometri a nord di Santiago si trova in una zona di clima arido. Questa parte del Cile, conosciuta come Norte Chico, si trova tra il deserto estremamente arido nord e il clima più moderato mediterraneo del Cile centrale.
Spazio Shuttle Fotografia di nubi stratocumuli sulle montagne di Norte Chico
Per diversi decenni Caleta Chungungo è stato fornito con acqua fresca da una vicina miniera di ferro. Dopo che la miniera ha chiuso il villaggio ha dipeso dalla fornitura con autocisterne per una quantità limitata di acqua e pure di scarsa qualità. Il popolo di Caleta Chungungo ha convissuto con una carenza cronica di acqua per circa venti anni.
Nebbia sistema di raccolta a El Tofo
Nel 1987 un sistema di raccolta di questa nebbia è stato installato sulle pendici delle montagne costiere vicino alla miniera di ferro abbandonata a El Tofo. Il sistema è costituito da reti di grandi dimensioni disposte lungo i pendii perpendicolari al flusso terrestre della camanchaca. La nebbia condensa sulla maglia e le gocce d'acqua sono raccolte in un trogolo. L'acqua raccolta fluisce dalla vasca verso il basso attraverso un tubo ad un serbatoio vicino a Caleta Chungungo, a circa quattro miglia di distanza.
Acqua fresca scorre in un serbatoio di stoccaggio
Il concetto di raccolta acqua dal camanchaca è nato da una attenta osservazione della condensa sulle foglie degli alberi di eucalipto che crescono vicino a El Tofo. Oggi Caleta Chungungo ha un approvvigionamento affidabile di acqua potabile, e ha anche l'acqua necessaria per irrigare piccoli orti. 
Questo incredibile innovazione si è diffusa in altre regioni aride con simili geografia fisica, come il Perù, l'Ecuador, e al di là del Sud America in Oman.
Photo credit (tranne foto Space Shuttle): P. Cerceda e J. Betancourt

"At the right spot we can collect 5 liters of water per square meter. That means 200 liters per day per fog collector" FINO A 200 LT AL GIORNO PER OGNI COLLETTORE


mercoledì 23 gennaio 2013

Sustainable architecture in action: constructed wetland in the Gaza Strip

Riporto integralmente il post appena apparso su http://www.buildingreenfutures.org/ dove si parla del progetto fatto assieme allo studio MCA di Mario Cucinella, ad ARCO' e a Vento di Terra.


Sustainable architecture in action: constructed wetland in the Gaza Strip

early 2012

early 2013

These images show the growth over a 12-month span of the constructed wetland engineered by Mauro Lajo (Artecambiente) in the Kindergarden of Um Al Nasser (North part of Gaza Strip), an eco-friendly school built in 2011 by ARCO’, Mario Cucinella and the NGO Vento di Terra.
The Garden uses green plants and associated microorganisms for degradation, removal and/or reduction in the concentration of pollutants in the school’s grey waters that can thus be reused for toilet flushing and gardening. Underneath the garden lies a tank for the harvesting of rainwater. 

Building Green Futures has been following from very close the progress in the design and construction of this building, a great example of low-tech/high performance sustainable design bringing lasting benefits to people in need.

sabato 19 gennaio 2013

La fitodepurazione: un metodo eco-sostenibile per la bonifica di siti inquinati

Green Technology Aesthetically Pleasing

Una delle sfide fondamentali che nel 21° secolo l’uomo è chiamato a sostenere è la promozione dello sviluppo sostenibile degli ecosistemi nel pieno rispetto di tre esigenze:
A) l’alimentazione,
B) l’energia
C) la salvaguardia dell’ambiente, incluso i cambiamenti climatici e la degradazione dei vari habitat dovuta all’inquinamento.



Le piante, con le loro caratteristiche peculiari,  svolgono un ruolo fondamentale nella risoluzione di queste tre sfide “sostenibili”.
In Europa e nel mondo la maggior parte dei terreni coltivati sono inquinati da metalli pesanti e/o composti chimici organici, per lo più derivanti dalla fertilizzazione fosfatica e dall’uso di fitofarmaci di sintesi. Stessa sorte spetta alle aree industriali, gli ambienti urbani, le zone minerarie,  le discariche e i corsi d’acqua, anche se l’origine degli elementi e dei composti contaminanti è diversa. I metodi convenzionali di bonifica di siti inquinati sono costosi ed alterano le proprietà fisico-chimiche e biologiche dei substrati sottoposti a trattamento, provocando un ulteriore impatto negativo sull’ambiente, infertilità dei suoli e rilascio di nuove molecole inquinanti. Il progressivo deterioramento della qualità ambientale e l’impatto dell’inquinamento sulla salute umana hanno promosso lo sviluppo di ricerche e tecnologie per il risanamento ambientale. Le fitotecnologie rappresentano una valida alternativa alla risoluzione del problema; esse sono tecnologie a basso impatto ambientale che sfruttano i processi fisiologico-biochimici e molecolari tipici delle piante per eliminare, trattare, stabilizzare o contenere gli inquinanti di varia natura presenti, essendo le piante stesse i principali bersagli della contaminazione da metalli pesanti, pesticidi, farmaci ed altro. La maggior parte delle sostanze inquinanti presenti nei terreni e che si riversano nelle acque possono accumularsi negli organismi attraverso la catena trofica e vengono trasferite da un organismo all’altro concentrandosi ulteriormente.

Tre le fitotecnologie emergenti, la “phytoremediation” o fitodepurazione è un metodo di trattamento in situ che usa le piante verdi, e eventualmente i microrganismi associati alla loro rizosfera, per la degradazione, rimozione e/o riduzione della concentrazione degli inquinanti nel suolo, acque, sedimento, aria. Le piante, infatti, grazie alla loro particolare morfologia e metabolismo, sono capaci di esplorare i vari substrati mediante l’apparato radicale, di assorbire e/o stabilizzare contaminanti inorganici come i metalli pesanti, molti dei quali sono anche micronutrienti (Cu, Fe, Zn, Mn, Mo, Ni, etc.), e di decomporre e trasformare i contaminanti organici, come gli idrocarburi, i solventi clorurati, i pesticidi, etc.

In base al tipo di meccanismo metabolico prevalente, si distinguono diverse strategie o applicazioni della fitodepurazione, sintetizzate in Figura 1.

Le piante assorbono gli inquinanti presenti nel substrato attraverso le radici e li trasferiscono e accumulano nella parte aerea o più facilmente asportabile con la raccolta mediante la fitoestrazione o fitoaccumulo. Alcune specie di piante sono capaci di immobilizzare i contaminanti a livello radicale per adsorbimento sulla superficie delle radici o accumulo al loro interno e/o per precipitazione nella rizosfera (fitostabilizzazione). La rizofiltrazione è una tecnica di bonifica impiegata soprattutto in ambienti acquatici, o comunque dove la fase acquosa prevale, e sfrutta la capacità dell’apparato radicale della pianta di trattenere nei propri tessuti gli inquinanti o di adsorbirli sulla superficie dell’epidermide, ricoperta da uno strato mucillaginoso di polisaccaridi (rizoplano). Il risultato è una immobilizzazione dei contaminanti nelle radici della pianta; quando le radici diventano sature, vengono asportate dal mezzo. Altre specie vegetali sono in grado di decomporre e trasformare i contaminanti (soprattutto organici) in sostanze più semplici, potenzialmente meno tossiche, attraverso il processo di fitodegradazione o fitotrasformazione. In alcuni casi la pianta, attraverso le radici, assorbe dal mezzo l’inquinante, che trasporta fino alle foglie e lo immette tal quale (o trasformato) nell’atmosfera mediante il flusso traspiratorio (fitovolatilizzazione). Un altro metodo di fitodepurazione è il cosiddetto controllo idraulico, cioè la regolazione e/o condizionamento dei flussi di acqua nell’ambiente da parte della pianta attraverso il processo di evapotraspirazione, che limita la diffusione degli inquinanti nelle acque sotterranee e superficiali. Questo fenomeno permette di usare le piante come vere e proprie barriere alla diffusione degli inquinanti lungo le sponde dei corsi d’acqua (“riparian corridors”) o lungo il perimetro di siti inquinati (“buffer strips”), oltre che su tutta la superficie dell’area contaminata (“vegetative cover”).

Quando la tecnica di fitodepurazione si avvale in modo specifico dell’interazione tra la pianta e i microrganismi presenti naturalmente nella sua rizosfera oppure appositamente selezionati e introdotti in essa mediante inoculo, si parla anche di “rhizoremediation” o rizorimediazione. In questo caso si crea un rapporto mutualistico tra l’attività radicale della pianta e i microrganismi della microflora indigena e/o i microrganismi esogeni (“plant-microbe symbiosis”), che migliora la biodisponibilità dei composti organici ed inorganici presenti, favorendo e accelerando l’assorbimento e/o degradazione dei primi e l’assorbimento dei secondi da parte della pianta. Un’unica specie vegetale può essere capace di attuare tutte queste strategie o “fitotrattamenti” contemporaneamente, oppure l’uno o l’altro in modo prevalente; molto dipende dalla natura dell’inquinante o degli inquinanti e dalla loro biodisponibilità. La frazione biodisponibile dei contaminanti è uno dei fattori che condizionano maggiormente l’efficacia del processo di fitodepurazione, in quanto può accadere che della totalità delle molecole inquinanti presenti, solo una porzione minima possa essere asportata o degradata dalla pianta. Ciò dipende dalle proprietà chimico-fisiche del metallo o del composto organico responsabile dell’inquinamento, dalle caratteristiche pedoclimatiche e dai processi biologici che interessano il substrato.
La fitodepurazione è una tecnologia emergente nell’ambito dei più moderni sistemi di bonifica e ripristino ambientali. È relativamente più economica dei sistemi di bonifica convenzionali e a basso impatto ambientale ossia eco-compatibile o “verde”, e per questo ha conquistato un largo consenso nell’opinione pubblica (“green technology aesthetically pleasing”). Tuttavia, la sua applicabilità è attualmente limitata a causa soprattutto dei tempi di impiego, relativamente lunghi perché strettamente legati al ciclo di sviluppo delle piante utilizzate, ed alla scarsa “standardizzazione” delle metodologie. A quest’ultimo proposito, per ogni situazione d’inquinamento sarà necessario individuare di volta in volta la specie più adatta da usare, in dipendenza delle caratteristiche specifiche dell’ambiente contaminato e del tipo di inquinanti presenti, allo scopo di realizzare la depurazione ed il recupero del sito, nonché le condizioni più idonee per l’impianto. Per questo motivo la programmazione di qualsiasi intervento di fitodepurazione richiede un’attenta caratterizzazione del luogo contaminato ed una valutazione del rischio sito-specifica, in modo da sviluppare il metodo più adeguato all’obiettivo di risanamento (sequestro, stabilizzazione, contenimento o degradazione del composto inquinante). Lo sviluppo e l’applicazione su larga scala delle tecnologie di fitodepurazione devono dunque essere supportati da una costante attività di ricerca.

Da diversi anni il CNR e in particolare gli istituti IBAF (Istituto di Biologia Agro-ambientale e Forestale, http://www.ibaf.cnr.it) e IBBA (Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria, http://www.ibba.cnr.it/) conducono ricerche di base e applicative sulla fitodepurazione, allo scopo di identificare i meccanismi morfo-fisiologici, biochimici e molecolari che regolano la capacità delle piante di tollerare e/o degradare sostanze potenzialmente tossiche per gli ecosistemi. Ciò permetterà di selezionare specie vegetali utilizzabili in programmi di intervento per la bonifica ed il recupero di siti inquinati da contaminanti di varia natura, con ricadute positive sulla salvaguardia dell’ambiente, la sicurezza alimentare e la tutela del paesaggio. In particolare, lo studio della risposta delle piante agrarie e forestali all’inquinamento ed ai cambiamenti climatici si sviluppa nello studio del funzionamento dei meccanismi metabolici di base coinvolti e nel possibile risvolto di tipo applicativo per lo sviluppo di tecnologie di risanamento ambientale adeguate. Di conseguenza, si realizzano esperimenti in condizioni di crescita delle piante completamente controllate (sistemi in vitro, cella climatica) o semi-controllate (serra, lisimetro, mesocosmo) e si allestiscono impianti in piena aria in ambienti confinati e/o di campo (Fig. 2).


Nell’ultimo decennio, grazie ad un’attiva progettualità e attività di collaborazione tra i gruppi di ricerca degli istituti e con altri enti di ricerca è stato scoperto il ruolo di alcuni importanti meccanismi che le piante hanno sviluppato a livello fisiologico, biochimico e genetico per contrastare gli effetti negativi delle molecole inquinanti. Per lo studio dell’inquinamento da metalli pesanti sia essenziali (es: Zn), che non (es: Cd), sono state utilizzate diverse specie vegetali come Phragmites australis, Lemna minor e Populus spp. (in forma naturale ed ibrida).
A livello fisiologico le piante più tolleranti all’eccesso di metalli sviluppano principalmente due strategie. Le piante così dette “escludenti” sfuggono o riducono notevolmente l’assorbimento di metalli attraverso l’uso di barriere chimico-fisiche o biochimiche (ispessimento e composizione e carica della parete cellulare, selettività dei trasportatori). Le piante “accumulatrici” o “includenti” crescono e si sviluppano pur assorbendo elevate quantità di ioni metallici, che accumulano in alte concentrazioni nei propri tessuti. Appartengono a questa categoria le piante così dette “iperaccumulatrici”, in grado di accumulare elementi metallici in concentrazioni incredibilmente elevate, a partire da 1000 mgkg-1 di sostanza secca, pari allo 0.1 % del peso secco, fino a 10.000 mgkg-1 di s.s. (1% del peso secco), a seconda dello specifico elemento. Questi valori sono considerati normalmente tossici per la gran parte delle specie vegetali; la maggior parte delle piante iperaccumulatrici appartiene alla famiglia delle Brassicaceae e sono caratterizzate da ciclo annuale, al massimo biennale, e scarsa produzione di biomassa, con conseguente ridotta asportazione dei metalli assorbiti. Lemna minor, monocotiledone, è una macrofita acquatica galleggiante, ampiamente studiata per la sua capacità di rimuovere i metalli dalle acque di superficie; può essere considerata una pianta iperaccumulatrice di cadmio. Assorbe Cd, direttamente, attraverso la superficie inferiore della lamina fogliare. Questa pianta raramente fiorisce in natura e il più delle volte si riproduce per gemmazione, raddoppiando ogni 2 o 3 giorni in condizioni ottimali la sua massa vegetativa. È diffusa ovunque. In Italia cresce spontaneamente, ricoprendo vaste superfici di acque stagnanti (laghi, risaie, canali).

Il pioppo non è classificabile tra le iperaccumulatrici, ma per la sua natura di pianta freatofita a rapido accrescimento, alto potere evapotraspirativo ed elevata formazione di biomassa, è capace di assorbire ed accumulare nei vari tessuti notevoli quantità di metalli durante il suo ciclo biologico poliennale. La sperimentazione condotta su questa specie ha permesso di individuare la capacità di assorbire e traslocare i metalli in eccesso, accumulandoli, ad esempio, nei tessuti più vecchi o metabolicamente meno attivi. La senescenza e caduta precoce delle foglie durante la stagione autunnale ne è una diretta conseguenza. Nei tessuti del fusto e della radice il maggiore sviluppo dell’endoderma fa da barriera e filtro all’eccesso dei metalli assorbiti, riducendone il trasferimento nei vasi.
L’attività sperimentale svolta ha permesso di caratterizzare dal punto di vista biochimico e molecolare la risposta della diverse specie vegetali alla presenza di inquinanti, oltre che fisiologico e morfologico-strutturale. A livello biochimico i meccanismi di detossificazione dei metalli messi in atto dalla cellula vegetale sono diversi e coinvolgono principalmente il metabolismo secondario. Le ricerche condotte sulle specie indagate ha consentito di caratterizzarne alcuni, quali il sequestro (“chelazione”) e la compartimentazione dei metalli negli organuli cellulari (soprattutto vacuolo), la sintesi di molecole a basso (es. glutatione o GSH) ed alto (es. fitochelatine, acidi organici, poliammine) peso molecolare capaci di legare i metalli pesanti, la riduzione chimica dello stato di ossidazione dello ione metallico mediante l’attivazione di sistemi antiossidativi (es. ciclo ascorbato-glutatione), la maggiore sintesi di composti polifenolici ad azione antiossidante e di precursori dei componenti della parete cellulare. Di conseguenza, un elevato contenuto di GSH ed un incremento dell’attività della glutatione reduttasi sono associati ad una maggiore tolleranza nell’accumulo di metalli pesanti necessaria a piante che si comportano da iperaccumulatrici come Lemna minor.
A livello molecolare nella risposta del pioppo all’eccesso di metalli pesanti sono stati individuati geni candidati per la tolleranza e/o resistenza codificanti per funzioni di trasporto e di sintesi e controllo dello stato redox del glutatione.
Inutile dire che il coinvolgimento diretto di funzioni legate al metabolismo secondario della pianta interessa, in funzione dell’intensità e della durata dell’esposizione all’eccesso di metalli, vie metaboliche primarie, quali l’attività fotosintetica e il metabolismo dell’azoto. La ricerca finora condotta sulla fitodepurazione ci ha permesso di verificare che la capacità di detossificazione delle piante non è solo specie-specifica, ma anche organo- e tessuto-specifica. Dopo decenni di studi prevalentemente concentrati sulla porzione aerea della pianta, l’evoluzione e l’innovazione dei mezzi strumentali ed analitici sta sempre più favorendo anche l’indagine del comportamento della radice (“the hidden half”) in risposta agli inquinanti, soprattutto quelli diffusi nel sistema suolo (substrato)-acqua. A questo proposito i nostri gruppi di ricerca hanno intrapreso e stanno sviluppando interessanti attività, utilizzando anche Arabidopsis thaliana come pianta modello, oltre alle specie vegetali già citate. Queste conoscenze sono indispensabili per migliorare la capacità di tolleranza e/o resistenza a metalli pesanti ed altri contaminanti da parte delle piante e costituiscono la base per l’individuazione di piante selezionate o geneticamente modificate in grado di accumulare e/o degradare inquinanti da usare in programmi di bonifica di aree contaminate (Fig. 3).

Iannelli Adelaide CNR-IBBA - iannelli@ibba.cnr.it
Di Baccio Daniela CNR-IBAF - daniela.dibaccio@ibaf.cnr.it

venerdì 18 gennaio 2013

“LA TERRA DEI BAMBINI” UN CENTRO PER L’INFANZIA PER UM AL NASSER


 PRESENTAZIONE
La volontà di costruire il centro per l’infanzia “La Terra dei bambini” di Um al Nasser (Striscia di
Gaza) si sviluppa nel 2011 rispondendo ad una richiesta di aiuto della comunità beduina accolta
dall’ONG italiana Vento di Terra. Obiettivo, garantire l’accesso a servizi educativi e sanitari di
qualità ai bambini beduini in età prescolare e alle donne beduine del villaggio.
In un contesto complesso quale quello della Striscia di Gaza - caratterizzato dalla mancanza di
pianificazione urbanistica e da una conseguente edificazione selvaggia - la scelta di realizzare il
plesso seguendo i criteri dell’architettura bioclimatica è stata dettata dalla necessità di utilizzare
risorse locali, facilmente reperibili e a costi accessibili.
Il plesso, coprogettato dal gruppo ARCò - Architettura e Cooperazione e dallo studio di
architettura MCA Mario Cucinella Architects, è stato dunque realizzato in poco tempo impiegando
la tecnica degli “earthbags”, seguendo un modello di autocostruzione già sperimentato con
successo con la comunità beduina Jahalin in Cisgiordania.
Durante la costruzione del centro la comunità locale ha acquisito competenze tecniche innovative partecipando anche alla realizzazione di un impianto fotovoltaico e di un sistema di fitodepurazione.
La struttura scolastica è coordinata da un team formato da Vento di Terra nella gestione e nello sviluppo di percorsi educativi alternativi innovativi e partecipati. Il Centro è dotato di sei aule destinate a ospitare circa 125 alunni, di 5 spazi dedicati a specifiche attività didattiche, di uno sportello di consulenza per le famiglie e di un ambulatorio per il counseling sanitario.
L’intervento coinvolge una serie di realtà socio educative locali e internazionali che operano in rete, proponendo una risposta unica ed integrata ai bisogni dei bambini in età prescolare, delle loro madri e delle loro famiglie.
Il progetto Architettura di pace per Gaza è stato reso possibile grazie al contributo del Ministero degli Affari Esteri , della CEI – Conferenza Episcopale Italiana, del Comune di Milano, L.U.S.H. Italia e della rete di sostenitori di Vento di Terra ONG.


LA COMUNITA’ BEDUINA DI UM AL NASSER
Il progetto coinvolge la comunità beduina di Um Al Nasser, stanziata a nord della Striscia di Gaza. Si tratta di popolazioni espulse dall’area di Bersheba nel 1948, con un passato semi-nomadico e caratteri culturali comuni con i beduini stanziati in Cisgiordania.
Um Al Nasser si trova nei pressi del valico di Erez, a nord est della città di Beit Lahia e ad est del territorio della cittadina di Beit Hanoun, in un’area particolarmente coinvolta nelle fasi recenti del conflitto.
Uno degli obiettivi del progetto mira a recuperare e promuovere l’identità legata alla “Civiltà della tenda”. Una società di tradizione antichissima nella quale la donna possedeva un ruolo centrale, in qualità di detentrice dei saperi indispensabili per la sopravvivenza.


IL PROGETTO ARCHITETTONICO
L’edificio è concepito in termini di sostenibilità ambientale proponendo soluzioni tecniche innovative che reinterpretano la cultura e l’identità locale. La progettazione architettonica è curata da un team di esperti nel settore: Il gruppo ARCò – Architettura e Cooperazione, che si occupa di sostenibilità e partecipazione in architettura, e lo studio MCA - Mario Cucinella Architects, studio di chiara fama internazionale che da tempo sviluppa ricerche sull’architettura sostenibile.
Il progetto punta alla valorizzazione dell’identità locale reinterpretando il modello della tenda beduina: una struttura temporanea caratterizzata da elementi di sostegno verticale che sorreggono un telo decorato, solitamente in lana di pecora. La sua struttura è divisa al suo interno in due ambienti: uno pubblico dove avvengono le attività comuni e si ricevono gli ospiti e uno destinato alle attività private della famiglia.
La struttura polifunzionale di Um Al Nasser reinterpreta questi caratteri tradizionali riproponendoli sotto forma di elementi architettonici contemporanei. La tenda viene sostituita da un’ampia copertura che, ripiegando su se stessa, richiama le diverse inclinazioni dei teli. Le linee orizzontali dei tipici tessuti beduini vengono riletti attraverso brise soleil in legno che permettono un controllo dell’irraggiamento solare.

L’asilo “cresce dal deserto”: le pareti isolanti che circondano le aule e il cortile centrale sono realizzati con sacchi riempiti di terra. Si tratta della tecnica degli earth-bag, proposta per la prima volta da Nader Kalili negli anni ’80. I muri sono in grado di preservare la realtà gioco-educativa dell’asilo, costruendo una vera e propria oasi protetta dalle difficoltà esterne.
Il Centro per l’infanzia è un edificio ad un piano, parzialmente interrato, per una superficie totale di 400 mq di patio giardino e 600 mq che comprendono 6 aule, libreria, direzione, aula docenti, area accoglienza, laboratorio attività psicomotorie, spazio polifunzionale, sportello famiglie, infermeria e servizi igienici. Le aule hanno una superficie di 25 m2, e possono ospitare circa 25 allievi ciascuna.
“La Terra dei Bambini” offre spazi e servizi per le famiglie, uno sportello di consulenza, e attività di educazione alla salute e alla pace.


L’IMPATTO AMBIENTALE
Dal punto di vista dell’eco-compatibilità dell’intervento, sono diversi gli accorgimenti che fanno di questo edificio un’architettura modello per il settore edile palestinese. Sono state privilegiate soluzioni low-tech e a basso costo, semplici da comunicare e implementare, atte ad essere replicate in altri contesti da parte della comunità locale.
Ai progettisti si sono affiancate figure specifiche che hanno curato gli aspetti strutturali, energetici e del recupero delle acque. L’uso della terra e del legno permette di ridurre al minimo l’utilizzo di materiali inquinanti e ad alto impatto ambientale. Si tratta di un edificio ipogeo, ove gli ambienti sono parzialmente interrati. Tutte le aule godono dell’inerzia termica del terreno e dei muri, che garantisce temperature interne più basse in estate, e più miti in inverno. Un sistema di ventilazione naturale permette di godere di una temperatura percepita inferiore per un confort igro-termico ottimale. Il sistema a doppia copertura garantisce l’attivazione di moti convettivi e il riciclo dell’aria calda con quella più fresca proveniente dal basso. Si è previsto un sistema di raccolta dell’acqua piovana che avviene attraverso l’ampia copertura e che viene stoccata in una vasca interrata e nel giardino interno è stato realizzato un impianto di fitodepurazione per il trattamento delle acque grigie a scopo di riutilizzo negli sciacquoni dei wc. Dal punto di vista energetico, è stata prevista l’installazione di un impianto a pannelli fotovoltaici realizzato sfruttando le inclinazioni del tetto, così da garantire l’elettricità necessaria


A SCUOLA DI PACE NELLA “TERRA DEI BAMBINI”
“La Terra dei Bambini” rappresenta un modello di qualità grazie all’impiego di metodi pedagogici innovativi, efficaci nel ridurre le problematicità emergenti legate ad un contesto difficile quale quello delle zone di conflitto.
La scuola materna di Um al Nasser ha il duplice obiettivo di offrire ai minori un luogo di incontro e prepararli alla scuola primaria, prediligendo la centralità dell’esperienza ludica e meta cognitiva (imparare attraverso l’esperienza) del minore senza comunque trascurare l’insegnamento delle basi dell’arabo classico, della matematica e dell’inglese.
Il progetto intende fornire assistenza ai minori e alle famiglie, garantire l’accesso ad adeguati percorsi educativi, di apprendimento e di preparazione. Realizzare un Centro per l’infanzia che sappia promuovere interventi di qualità significa intervenire sulla relazione “madre – figlio” e dunque, fornire un ambiente dove le donne ritrovino una dimensione propositiva nella comunità e nella famiglia. Gli insegnanti che si confrontano con modelli di organizzazione democratica, sviluppano capacità di problem solving e di lavoro per obiettivi, possono a loro volta diventare un modello positivo per i minori e per i loro genitori, coinvolgendo l’intera comunità in un processo di “educazione alla pace”.

Lo staff educativo formato da Vento di Terra ONG attraverso moduli di insegnamento pedagogico e gestionale è composto da sette maestre, una coordinatrice didattica e un’assistente sociale, tutte appartenenti alla comunità locale.
Nel centro sarà attivo uno sportello per l’orientamento e il supporto pedagogico, delle madri gestito da un’assistente sociale esperta.
Il progetto prevede, inoltre, laboratori di educazione alla salute e all’igiene realizzati sotto la supervisione del Palestinian Medical Relief, al fine di contrastare il proliferare di infezioni intestinali che colpiscono la maggior parte dei piccoli in età prescolare.


martedì 15 gennaio 2013

Progettazione e gestione di sistemi di trattamento naturale e riuso delle acque reflue



Seminario e visita tecnica

Reggio Calabria, 30-31 gennaio 2013


Presentazione


La depurazione delle acque reflue presenta problemi di carattere economico, gestionale ed ambientale, che denunciano, in particolare per gli impianti e gli insediamenti al servizio di piccole e medie comunità, limiti di efficienza ed affidabilità depurative unitamente ad elevati fabbisogni energetici.

Una possibile soluzione a tali problemi è rappresentata dall’adozione di sistemi di trattamento naturale, come la fitodepurazione, il lagunaggio e l'accumulo in serbatoi, già sperimentati con successo da diversi anni in numerose realtà estere e più recentemente in Italia. Tali sistemi, sebbene richiedano superfici relativamente ampie (anche marginali), sono abbastanza semplici nella fase di realizzazione, presentano bassi costi di esercizio e consentono il riuso degli effluenti depurati a fini diversi. Ciò rende i trattamenti naturali consigliabili per il trattamento dei reflui civili di piccole e medie comunità e agroindustriali, con successivo smaltimento dell’effluente depurato nei corpi idrici o sul suolo a fini agronomici.
In Italia l’emanazione di diversi provvedimenti legislativi e normativi (D.Lgs. 152/2006, parte III, e s.m.i.) ha suscitato l’interesse della collettività verso i trattamenti naturali con particolare riferimento ad agglomerati con popolazione fino a 2.000 abitanti equivalenti, auspicando peraltro il loro impiego anche nel caso di agglomerati di maggiori dimensioni (popolazione fino a 25.000 abitanti equivalenti), come sistemi di affinamento a valle di impianti a fanghi attivi o a filtri percolatori.
Tra i trattamenti naturali, i sistemi di fitodepurazione, il lagunaggio e l'accumulo in serbatoi presentano notevoli potenzialità applicative  nel favorevole contesto climatico e territoriale del Meridione d’Italia; tuttavia, la loro diffusione, contrariamente a molte realtà dell’Italia settentrionale, è stata penalizzata dalla carenza di conoscenze tecnico-operative sulle loro prestazioni, sui vincoli e sui criteri progettuali.
L’iniziativa è rivolta ai tecnici ed agli amministratori di Enti pubblici responsabili della costruzione e della gestione dei sistemi di trattamento delle acque reflue (Provincia, Comuni, ARPACAL, ASL, Consorzi di Bonifica, Consorzi industriali, Ispettorati Forestali, ecc.), nonché agli operatori economici e ai liberi professionisti.


Segreteria organizzativa
Provincia di Reggio Calabria
Settore 16 “Ambiente, Energia, Demanio Idrico e Fluviale” A.P.Q. Infrastrutture
Via S. Anna II° Tronco – 89128 Reggio Calabria
Tel. 0965 364812 – 0965 364817 Fax 0965 364841 – 0965 364818 mail infea@provincia.rc.it


Il seminario si svolgerà il 30 gennaio 2013 presso la Sala conferenze del Palazzo Storico della Provincia di Reggio Calabria – Piazza Italia – Reggio Calabria.
La visita tecnica si svolgerà il 31 gennaio 2013 presso l’Azienda “Fattoria della Piana” – Contrada Sovereto – Candidoni (RC).

La partecipazione all’iniziativa è gratuita. Ai partecipanti (max 130, selezionati secondo l’ordine di iscrizione) verrà rilasciato un attestato.

La scheda di partecipazione, che ci può essere richiesrta via mail a info@artecambiente.it , dovrà pervenire via fax (0965 364841 – 0965 364818 - ) o per posta elettronica (infea@provincia.rc.it) alla Segreteria Organizzativa entro il 25 gennaio 2013.



PROGRAMMA DEL SEMINARIO
Mercoledì 30 gennaio 2013
(Palazzo Storico della Provincia di Reggio Calabria – Piazza Italia)
Saluti e introduzione al seminario

ore 09:00                  Dott. Giuseppe Raffa
                                 Presidente della Provincia di Reggio Calabria

                                 Dott. Francesco Pugliano
                                 Assessore alle Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria
                                           
                                 Ing. Carmelo Barbaro*, Prof. Santo Marcello Zimbone**
                                 *Settore 16 “Ambiente, Energia, Demanio Idrico e Fluviale, APQ Infrastrutture”, Provincia di Reggio Calabria
                                 **Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria

Sessione antimeridiana

ore 10:00                  Ing. Bruno Gualtieri
                                 Direttore Generale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente della Regione Calabria
                                 Gli orientamenti della Regione Calabria in merito alla depurazione delle acque

ore 10.30                  Proff. Giuseppe Luigi Cirelli*, Santo Marcello Zimbone**
                                 *Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali
                                 **Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria
                                 Inquadramento e prospettive dei trattamenti naturali delle acque reflue

ore 11:00                   Coffee break

ore 11.30                  Prof. Simona Consoli*, Ing. Demetrio Antonio Zema**
                                 *Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali
                                 **Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria
                                 Il lagunaggio e l'accumulo delle acque reflue e analisi di casi-studio

ore 12:00                  Dott. Fabio Masi
                                 Iridra s.r.l. - Firenze
                                 Fitodepurazione e gestione sostenibile delle acque: lo stato dell’arte in Europa ed in Italia

ore 12.30                  Dibattito

ore 13                       Colazione di lavoro

Sessione pomeridiana
                                   
ore 14.30                  Proff. Attilio Toscano*, Santo Marcello Zimbone**
                                 *Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali
                                 **Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria
                               Criteri di progettazione dei sistemi di fitodepurazione delle acque

ore 15:00                  Prof. Giovanni Spampinato
                                 Università Mediterranea di Reggio Calabria, Dipartimento di Agraria
                                 Criteri di scelta e gestione della vegetazione nei sistemi di fitodepurazione delle acque

ore 15.30                  Dott. Mirco Milani
                                 Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali
                                 La fitodepurazione e il riuso delle acque reflue: analisi di casi-studio

ore 16:00                  Dibattito


PROGRAMMA DELLA VISITA TECNICA
Giovedì 31 gennaio 2013
(Fattoria della Piana – Contrada Sovereto – Candidoni - RC)

ore 9.30                    Ing. Riccardo Bresciani
                                 Iridra s.r.l. – Firenze
Caratteristiche progettuali dell’impianto di fitodepurazione al servizio di “Fattoria della Piana”

ore 10:00                  Dott. Giuseppe Squadrito
                                 Vivai Squadrito – Lamezia Terme (CZ)
Messa a dimora della vegetazione ed avvio dell'impianto di fitodepurazione al servizio di “Fattoria della Piana”

ore 10.30                  Dott. Carmelo Basile
                                 Fattoria della Piana – Candidoni (RC)
                                 Analisi dei risultati di gestione dell’impianto di fitodepurazione al servizio di “Fattoria della Piana”

ore 11:00                   Visita tecnica dell'impianto di fitodepurazione di “Fattoria della Piana” - Candidoni (RC)

ore 13:00                   Colazione di lavoro